L’intervista di Giuseppe Casagrande, decano dei giornalisti enogastronomici trentini, al patriarca Lorenzo Simoni.
Meticoloso, ordinato, rigoroso, tenace, affidabile. Sono i caratteri distintivi dei nati sotto il segno della Vergine (mese di agosto). Doti che si attagliano alla perfezione a Lorenzo Simoni, l’imprenditore vitivinicolo che, grazie ad una lungimirante visione manageriale, dalla natia Palù di Giovo e successivo insediamento a Lavis ha portato in pochi anni la cantina Monfort a conquistare i mercati nazionali e internazionali.
Incontriamo il patriarca della famiglia Simoni nella nuova sede di via Stazione, uffici e cantina, assieme ai figli Chiara (responsabile vendite, marketing, accoglienza) e Federico (tecnico nonché brand ambassador per i mercati nazionali e internazionali).
Sorridente, pacato, un gentleman – è il suo marchio di fabbrica – e soprattutto sincero, come i suoi vini, Lorenzo risponde alle nostre domande davanti ad un calice del Trentodoc “Le Général Blanc Riserva Dosaggio Zero 2016 recentemente premiato con il prestigioso “Tastevin” dall’Associazione Italiana Sommelier.
E di fronte alle bollicine il discorso non poteva non scivolare sul momento felice che sta attraversando il settore spumantistico a dispetto viceversa della generale contrazione dei consumi dei vini fermi, rossi in particolare.
La famiglia Simoni quest’anno festeggia un anniversario importante: 40 anni fa nel caveau dello storico Palazzo Monfort di Lavis veniva posta a giacere la prima bottiglia di spumante metodo classico della “maison”. A Monfort va, infatti, riconosciuto il merito di aver creduto nelle enormi potenzialità di un territorio quanto mai vocato alla produzione di bollicine di alta gamma. E il sogno di Lorenzo Simoni divenne realtà.
Come ricordi, Lorenzo, la nascita del primo champenois di casa Monfort?
“Ricordo ancora quel giorno. La nascita del nostro primo spumante metodo classico fu un’emozione fortissima, non solo per me, ma anche per il cantiniere dell’epoca: Dario Tonazzolli. Assaggiammo queste bollicine, un brut leggermente “dosato” di Chardonnay e Pinot Nero, 36 mesi sui lieviti, in religioso silenzio e poi cominciò la festa. Di quella annata uscirono 4 mila bottiglie. Negli anni successivi abbiamo incrementato la produzione privilegiando i lunghi affinamenti. Oggi la produzione di bollicine Monfort sfiora le 80 mila bottiglie con la Cuvée ’85, il Rosé Brut, il Rare Vintage, Le Général Dallemagne Riserva, Le Général Blanc Riserva Pas Dosé in attesa del Blanc de Noirs la cui uscita è prevista in autunno”.
Le bollicine del Trentino stanno vivendo un momento magico. Lo confermano i numeri, in costante crescita e le adesioni all’Istituto Trentodoc. Condividi la filosofia dell’Istituto?
“Il ruolo dell’Istituto Trentodoc è importantissimo, direi fondamentale poiché, oltre a dare visibilità alle bollicine trentine, ha fatto crescere moltissime aziende, soprattutto quelle piccole che non avevano la possibilità di farsi conoscere al di fuori dei confini regionali. Aveva ragione Veronelli quando alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, rivolto al prof. Francesco Spagnolli, disse che il Trentino aveva tutti i requisiti (clima, terreni di collina e di montagna, escursioni termiche, ventilazione, luminosità) per diventare la Champagne d’Italia. Un plauso va anche agli organizzatori del Festival autunnale del Trentodoc, strumento importante per la promozione degli spumanti trentini. Interessante, in particolare, il format che prevede le visite contingentate dei wine lover alle cantine e nei vigneti”.
Oltre alle bollicine, su quali tipologie punta la cantina Monfort?
“La congiuntura economica, i cambiamenti climatici, l’impennata dei costi delle materie prime, la mannaia dei dazi minacciati da Trump preoccupano non poco. In particolare, preoccupa la contrazione dei consumi per certe tipologie, i vini rossi in particolare di alta gradazione. Continuano ad andar bene, invece, i vini bianchi. I nostri sono molti apprezzati anche per l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Il mercato ci sta premiando non solo in Italia, ma anche all’estero con una significativa presenza soprattutto in Europa, Giappone, Corea e negli Stati Uniti”.
Ora il testimone passa nelle mani dei figli Chiara e Federico. Progetti futuri?
“Per il futuro sono tranquillo. L’azienda continuerà a mantenere il carattere familiare che la contraddistingue da quando, 80 anni fa, il nonno Giovanni scese dalla Val di Cembra e si trasferì a Lavis. I miei due figli, Chiara e Federico, avranno un ruolo sempre più importante, affiancati dall’enologo Maurizio Iachemet e da una pattuglia di giovani enologi. Possono guardare con fiducia ai prossimi impegni: la ristrutturazione della storica cantina di via Stazione, i nuovi uffici, il punto vendita. Il futuro è già indirizzato, il progetto è consolidato, la passione non manca, per cui possiamo brindare ai prossimi impegni con giustificato ottimismo”.
In alto i calici. Prosit! (Giuseppe Casagrande)