Monfort: la storia della famiglia Simoni

Penso alla mia vita, alla mia storia in questa cantina come una corda da arrampicata, tanti piccoli filamenti che formano un’anima.

Una corda chiamata famiglia Simoni

I miei primi ricordi risalgono alla vendemmia, penso di aver avuto 8 o 10 anni. A noi bambini facevano raccogliere gli acini che cadevano a terra ai vendemmiatori.
Più che il divertimento era l’obbedienza filiale che ci spingeva a fare questo ingrato lavoro o forse, ancor di più, era il premio di fine giornata: poter salire sul trattore per guidarlo tra i filari. Sin da piccoli si respirava la vita della campagna e di conseguenza quella della cantina.

L’avvicendamento della grande famiglia del nonno Giovanni, dei suoi figli e dei suoi nipoti, è una delle tante storie che si leggono nel dopo guerra: forti nella loro unità di grande famiglia, ma allo stesso tempo desiderosi di lasciare spazio alla crescita delle famiglie dei figli.

IMPARARE FACENDO
E per la nostra c’è stato un periodo lontano dalla gestione diretta della campagna e dalla cantina, anche se papà Germano e Michele, mio fratello, lavoravano presso uno zio, nei campi e in cantina. Per me, ancora studente, era l’estate il momento più vitale e di riavvicinamento alla vita viticola. Ad essere sincero, lavorare in campagna non era la mia prima aspirazione. Preferivo di gran lunga lavorare in cantina, imbottigliare o aiutare a fare le consegne di vino nelle valli del Trentino. La meta più ambita era il Monte Bondone e i due clienti che avevamo lassù: il primo ci offriva l’aranciata o la “spuma” (leggi cedrata) e alla seconda tappa ci davano il panino. Ho imparato, stagione dopo stagione, tutta la geografia del Trentino senza alcuna fatica, ma solo con tanto entusiasmo e curiosità.

EMOZIONI E CRESCITA
Erano i preparativi della vendemmia quelli che mi emozionavano di più: il riposizionamento della vasca per lo scarico dell’uva, la pulizia delle presse. Respiravo l’ansia crescente, di attesa mista ad eccitazione, dell’avvicinarsi del momento caotico della vendemmia. Nella mia mente tornano quelle lunghe file di trattori pronti a scaricare, i più moderni, che arrivavano già con il telo e quelli che ancora trasportavano i “ceveri” (i tini in dialetto trentino); i volti dei vignaioli fieri dell’uva che portavano e che si fermavano a parlare con zio Guido per accordarsi sul proseguo della vendemmia. E poi ancora i camion, che caricavano il vino per consegnarlo alle altre cantine. Tutto era frenetico.

Crescendo ho affiancato papà e Michele dallo zio Ermete prima e dallo zio Guido poi, in quella che poi diventerà la mia cantina. La scuola era altrettanto importante, anche se in una direzione completamente opposta: studiavo per diventare un fotolitografo.
Sono stati anni belli a contatto con il mondo della creazione: dai bozzetti al fotolito, poi passava tutto agli stampatori e si vedeva realizzato il progetto. Era entusiasmante.

(continua…)